martedì 28 ottobre 2014

Ricordare Rossana Ombres (1931-2009). Verso un’apertura europea del canone letterario italiano

In un momento in cui il concetto stesso di letteratura viene discusso sempre più diffusamente anche in ambito non accademico, con uno sguardo più aperto verso questioni di critica, politica editoriale, mercato e nuovi media, di tutte le interpretazioni che si potrebbero dare oggi dell’opera di Rossana Ombres non si trova ancora alcun riscontro all’interno della critica ufficiale. Qualcosa è stato fatto, in questi ultimi anni, in area anglo-sassone, anche se l’opera narrativa ombresiana è stata analizzata e valorizzata soltanto secondo quella prospettiva che vede nell’uso del fantastico femminile una modalità scrittoria idonea e capace di incidere sul canone letterario, ossia un modo per mettere in discussione gli stereotipi, anche femminili, che la cultura tradizionale italiana ha tramandato.
Ma la scelta di far uso del fantastico da parte di Ombres non era fondata soltanto sulle possibilità espressive che questo genere letterario offre. Certamente mirava a convogliare nella sua scrittura una sensibilità differente, mantenendo quel suo stato di alterità femminile che le consentisse pienamente quel simpatetico dialogo con il lato irrazionale della realtà - impersonato variamente nella figura del mostro, dell’abietto o di altre varie creature reali o immaginarie (si pensi, in questo senso, agli ‘scarabangeli’ presenti in Principessa Giacinta) - ma questa ‘femminile’ inclinazione verso il fantastico tendeva a definirsi essenzialmente come opposizione a quella interpretazione razionale e razionalistica della realtà che, in gran parte, almeno fino ai primi anni Settanta del secolo scorso, era quella offerta dalla narrativa neorealista italiana.
Nel corso di questo scritto si accennerà diffusamente a come Rossana Ombres pervenne al romanzo, una scrittura narrativa che risente profondamente di un lungo e appassionato esercizio di poesia la cui qualità segnica e semantica fu subito riconosciuta da critici e letterati. Anche fosse solo per questo, l’interesse che l’opera di Rossana Ombres dovrebbe suscitare nella critica sarebbe oggi pienamente giustificabile perché tocca dimensioni storiche ed esistenziali della scrittura femminile, dell’emancipazione della donna e delle immagini che le donne hanno dato e danno di sé, del loro coraggio e della loro intelligenza. Infatti, la ricchezza, la chiarezza e, nel contempo, la complessità del linguaggio ombresiano, gli intrecci culturali che vengono a realizzarsi nella sua scrittura, indicano che molti sarebbero gli aspetti da rilevare e chiarire: non solo linguistici e letterari, ma anche epistemologici, psicologici, storici e sociali. Riaprire il discorso su Rossana Ombres e riscoprire l’importanza del suo lavoro letterario e del suo particolare ‘sguardo’ significherebbe, pertanto, dare un apporto significativo alla critica letteraria e, soprattutto, attraverso queste nuove chiavi di lettura, aprire nuove prospettive di sviluppo particolarmente importanti non solo sul piano specifico del linguaggio e della scrittura, ma anche su quello socio-culturale, politico, filosofico e antropologico.
Lo sguardo ombresiano (come anche quello di molte altre scrittrici), incline per natura a testimoniare un modo differente di abitare e leggere il mondo, invita dunque a riflettere sulle modalità di scrittura di Rossana Ombres e sollecita anche a chiedersi perché, nonostante la sua notevole capacità di introspezione, acquisita anche grazie all’apporto del segno poetico nella composizione narrativa, non trovi ancora sufficiente riscontro nella letteratura ‘alta’. Infatti, se è vero che la padronanza del linguaggio equivale alla padronanza del mondo che la persona costruisce per viverci dentro, gli studi su Ombres permetterebbero di tracciare sviluppi non solo ricchi di informazioni e suggestioni, ma, come afferma il celebre filosofo della mente Thomas Nagel, esistenzialmente vitali, capaci cioè di elaborare un sapere legato ad una realtà ricca di significati il cui scopo principale è quello di «collocarci nel mondo come in una cornice comprensiva, insieme ai punti di vista personali che ci sono propri»[1].
Come quello di molti scrittori del XIX secolo, l’uso che Ombres fa del fantastico è spesso altamente intertestuale[2], il che dimostra il potenziale semantico che questo genere letterario possiede. Tuttavia, violando le stesse regole del fantastico, eludendo e, essenzialmente, ‘deludendo’ nel lettore il senso di ‘misurata esitazione’ che, come teorizzato da Tzvetan Todorov[3], ne sta alla base, il fantastico ombresiano, almeno fino a Serenata (1980), si attua per ‘eccesso’, col fine specifico di riconfigurare, e chiaramente affermare, il ruolo svolto dal soggetto femminile all’interno dell’ordine letterario e, più in generale, di quello sociale, politico e culturale. Per Ombres, dunque, il fantastico è un utile strumento per contestare e mettere in discussione le regole socio-culturali, oltre che affermare quel sé femminile che l’ordine patriarcale ha sempre tentato di reprimere, spesso con successo.
Sin dai suoi esordi, Ombres rifiuta un tipo di narrazione ‘ridondante’, saldamente in mano a un narratore onnisciente in grado di fornire esaustive spiegazioni psicologiche, etiche e sociali degli eventi narrati, instradando in tal modo l’interpretazione del lettore in una univoca e specifica direzione. Ombres adotta invece un tipo di narrazione ‘reticente’ (che è poi tipica della narrazione fantastica), ma così manchevole e carente tanto di puntelli esplicativi quanto di informazioni, indispensabili per una benché minima decodificazione, che giustifica l’eloquente qualificazione che la dt. Hipkins assegna alla prima maniera ombresiana come di ‘eccessivamente fantastica’.
Negli ultimi due romanzi, invece, pur mantenendo una ‘traccia’ di fantastico nel corpo delle protagoniste, Rossana Ombres si avvicina ad una narrazione di tipo neorealista, anche se rimane un certo grado di reticenza soprattutto per quanto riguarda la ‘traccia’ di fantastico che l’accompagna: si pensi, in questo senso, alla ‘anomalia’ della protagonista di Un dio coperto di rose, forse un ‘gobbo’, che segna il corpo e anche la psiche della protagonista e che però non troverà soluzione alcuna all’interno del romanzo. Certo è che se un margine di reticenza è rintracciabile in diversa misura in qualsiasi opera letteraria, nondimeno esistono casi in cui l’uso del silenzio sulla narrazione si fa più categorico che altrove e i vuoti o le indeterminatezze del testo, oltre ad essere dei dispositivi per creare suspense, costituiscono le vere e proprie strutture portanti di tutto l’edificio narrativo ombresiano. Questo è ciò che accade nel racconto fantastico che Ombres mette in piedi, la cui tendenziale trasgressività semantica può essere fatta risalire proprio all’accordo tra un contenuto oscuro e abissale e una strategia narrativa improntata alla reticenza e alla sottrazione d’informazione. Nelle analisi testuali delle opere ombresiane appare evidente come, dosando in modo diverso il non-detto (si confrontino, ad esempio, Principessa Giacinta e Un dio coperto di rose), scaturiscano vicende il cui grado di dirompenza e di densità semantica è direttamente proporzionale al grado di reticenza esplicativa insito nel racconto.
In effetti, per la sua natura ibrida e il rifiuto di una visione totalizzante della realtà per accogliere inconsueti e inquietanti ‘altri’ nello spazio domestico, il genere fantastico può essere usato sia per sperimentare nuove soluzioni narrative sia per esplorare alternativi paradigmi conoscitivi e gnoseologici. Il fantastico femminile, infatti, fornisce una narrazione e una soluzione semantica che permette all’‘alterità’ di emergere da quel che si ritiene il reale. In questo modo, la realtà può essere rappresentata anche nella sua ‘stranezza’, sia essa quella del ‘mostro’ o dell’isteria femminile o quella, ben più dirompente, di una critica sociale dell’ordine patriarcale e dei valori della cultura maschio-dominante che vi sottendono. Ciò che comunque caratterizza e differenzia il fantastico femminile dal fantastico in generale è l’ipotesi che le manifestazioni dell’‘alterità’ non provocano più inquietudine, come avveniva con l’inserimento dell’elemento ‘perturbante’ (il freudiano Unheimliche), ma, piuttosto, un surplus di pathos. Ecco, dunque, che questa modifica concettuale del genere fantastico offre alla scrittrice un formato narrativo alternativo con cui non solo può rappresentare l’inversione di quelle strutture di potere che in precedenza avevano modellato la comprensione della realtà, ma anche, di conseguenza, proporre un nuovo ordine e una diversa sistematizzazione del reale. L’uso del fantastico da parte di Ombres denota quindi una concezione letteraria che considera il fantastico un utile strumento non solo per formulare strategie di resistenza verso la scrittura maschile ma, ben più in profondità, verso il canone letterario maschio-dominante, il cui paradigma conoscitivo Ombres cercherà costantemente di mettere in discussione.
Da questa indagine emerge così la necessità di valorizzare un particolare tipo di sguardo, quello di donna, con cui vengono raccontati i fatti del mondo, uno sguardo che esclude qualsiasi segno di neutralità e che si carica della consapevolezza, specie quando si tratta di narrare dell’esclusione delle donne dal canone, di dover offrire una scrittura non più modellata sui bisogni della cultura maschio-dominante e sull’inganno di una scrittura, quella maschile, propagandata come universale. D’altronde è proprio da qui che ha preso le mosse questo studio su Rossana Ombres, ossia quello di rintracciare, nella pur amplissima diversificazione tematica e strutturale della narrativa ombresiana, gli inneschi e i dispositivi della sua ‘trasgressione’ nella persuasione che a scatenarne e orientarne il funzionamento sono meccanismi e intenti sostanzialmente simili e complementari: la rottura del canone maschio-dominante e la creazione di uno specifico spazio letterario femminile.
Alla ‘prima maniera’ ombresiana, quella ‘eccessivamente fantastica’ che giunge fino a Serenata (1980), succede infatti quella degli ultimi due romanzi, che la dt. Hipkins ha definito della ‘creazione del sacro spazio femminile’[4]. Come sarà in seguito rilevato in questo scritto, sia in Un dio coperto di rose (1993) che in Baiadera (1997) Ombres adotta un linguaggio piano e molto prossimo alla narrativa di stampo neorealista. Tuttavia, pur mantenendo una ‘traccia’ di fantastico nelle disabilità fisiche delle protagoniste, la maggior attenzione verso il contesto storico e i luoghi geografici sta a indicare un obiettivo ben preciso: quello, appunto, che porti alla creazione, attraverso lo sguardo femminile, di un nuovo spazio narrativo in cui sono le donne a definirne le forme e i significati.
Certo, a parte poche eccezioni, la critica letteraria italiana finora non ha dedicato grande attenzione alla letteratura femminile, forse perché essa induce a ripensare il modello compatto della nostra letteratura mettendo in discussione i criteri di fondo con i quali ancora si definisce e si valuta la letterarietà. Esiste, infatti, un profondo distacco tra la critica letteraria e la proliferazione delle molteplici pratiche letterarie femminili e questo riconoscimento potrebbe essere un punto di partenza per una ridefinizione dei criteri critico-metodologici e adeguare in tal modo il canone italiano a quello europeo. Il fatto è che la produzione letteraria femminile fa vacillare una serie di assunti - come i regimi disciplinari, i generi letterari o le periodizzazioni - che troppo spesso vengono ancora dati per scontati e incontrovertibili. Inoltre, l’attuale prorompere della letteratura femminile costringe chi si occupa oggi di critica letteraria ad allargare la visione anche verso altri tipi di ‘sguardi’, come ad esempio quello migrante[5], che stanno costringendo il mondo intellettuale europeo a confrontarsi da tempo coi temi della differenza e dell’alterità. Nella letteratura europea contemporanea, infatti, è in corso una radicale trasformazione dovuta alle nuove soggettività che stanno delineano l’immagine multiculturale dell’Europa d’oggi. Di qui l’esigenza di produrre modelli interpretativi ed epistemologici che non siano più basati sull’esclusione o la discriminazione, nonché la possibilità di aprire nuovi spazi creativi e alternativi per la rappresentazione della soggettività e, quindi, la capacità della letteratura di rappresentare le molteplicità e la complessità della realtà contemporanea.
Non si tratta, quindi, di istituire un nuovo settore letterario (o un ‘sub-genere’) in cui definire e delimitare la letterarietà femminile, quanto, piuttosto, provare a stringere delle alleanze tra esclusi che siano in grado di proporre strategie alternative e oppositive contro le dominazioni di genere, di razza o di classe. Come afferma la filosofa statunitense Donna Haraway, che «non c’è nulla nell’essere femmina che costituisca un legame naturale tra le donne»[6], non si può pretendere di costruire un’azione politica o culturale soltanto sulla base di un’identificazione naturale nella categoria ‘donna’. Lo stesso vale quando si analizza la storiografia letteraria, dove non si può affermare l’esistenza di una ‘sensibilità femminile’, o di un ‘genio femminile unico’, perché «non esiste, in letteratura, una sola tradizione femminile; non esiste una sola espressione letteraria a cui le donne si siano limitate»[7]. Anzi, sostenere la specificità di uno stile femminile significherebbe solo riprodurre uno di quegli stereotipi che finirebbe per ghettizzare le donne, piuttosto che contribuire al riconoscimento della loro presenza nella tradizione letteraria.
Ecco, dunque, che l’analisi degli aspetti più stimolanti che la narrativa di Rossana Ombres sollecita, non solo si rivela ricca di suggestioni e proposte per aggiornare e adeguare il canone letterario italiano a quello europeo, ma suggerisce la necessità di elaborare una mappa concettuale ben più ampia e aggiornata e capace di accogliere in sé il dispiegarsi delle diverse forme di poligrafia. Del resto, l’attività che più impegnò Rossana Ombres fu quella pubblica di critico letterario per ‘La Stampa’, i cui articoli, grazie anche alla capacità di introspezione acquisita nella composizione letteraria, presentano quella originalità e ‘leggerezza’ di scrittura che rendono l’opera di Ombres un importante caso letterario da reinterpretare e valorizzare in tutte le sue forme d’espressione. Dedicarle uno studio esauriente «sarebbe un giusto omaggio a una poetessa e narratrice che, alla distanza, prende sempre più spicco; e valorizzerebbe un tipo di sperimentalismo cui non si è data tutta l’attenzione che merita»[8].


[1] T. Nagel, Mortal Questions, Cambridge University Press, Cambridge 1979; tr. it., Questioni mortali, Il Saggiatore, Milano 1986, p. 98.
[2] Molto utile, per capire meglio l’opera di Ombres, sarebbe fare una ricerca sulla sua attività di critico letterario de ‘La Stampa’, e ciò in considerazione del carattere intertestuale di molte sue opere: si pensi, in questo senso, a Principessa Giacinta e Serenata, in cui le protagoniste sono rispettivamente una scrittrice fallita e un affermato critico letterario.
[3] Cfr. T. Todorov, Introduction à la littérature fantastique, Editions du Seuil, Paris 1970; tr. it. La letteratura fantastica, Garzanti, Milano 1977.
[4] D.E. Hipkins, Contemporary Italian women writers and traces of the fantastic: the creation of Literary Space, Legenda, Oxford 2007, p. 192.
[5] Cfr. A. Gnisci, La letteratura italiana della migrazione, Lilith, Roma 1998.
[6] D.J. Haraway, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano 1995, p. 47.
[7] E. Moers, Grandi scrittrici, grandi letterate, Edizioni Comunità, Milano 1979, p. 104.
[8] C. Segre, Le tante radici di Rossana Ombres, in “Corriere della Sera”, 7 agosto 2009, p. 37.

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