In un momento
in cui il concetto stesso di letteratura viene discusso sempre più diffusamente
anche in ambito non accademico, con uno sguardo più aperto verso questioni di
critica, politica editoriale, mercato e nuovi media, di tutte le
interpretazioni che si potrebbero dare oggi dell’opera di Rossana Ombres non si
trova ancora alcun riscontro all’interno della critica ufficiale. Qualcosa è
stato fatto, in questi ultimi anni, in area anglo-sassone, anche se l’opera
narrativa ombresiana è stata analizzata e valorizzata soltanto secondo quella
prospettiva che vede nell’uso del fantastico femminile una modalità scrittoria
idonea e capace di incidere sul canone letterario, ossia un modo per mettere in
discussione gli stereotipi, anche femminili, che la cultura tradizionale
italiana ha tramandato.
Ma la scelta
di far uso del fantastico da parte di Ombres non era fondata soltanto sulle
possibilità espressive che questo genere letterario offre. Certamente mirava a
convogliare nella sua scrittura una sensibilità differente, mantenendo quel suo
stato di alterità femminile che le consentisse pienamente quel simpatetico
dialogo con il lato irrazionale della realtà - impersonato variamente nella
figura del mostro, dell’abietto o di altre varie creature reali o immaginarie (si
pensi, in questo senso, agli ‘scarabangeli’ presenti in Principessa Giacinta) - ma questa ‘femminile’ inclinazione verso il
fantastico tendeva a definirsi essenzialmente come opposizione a quella
interpretazione razionale e razionalistica della realtà che, in gran parte,
almeno fino ai primi anni Settanta del secolo scorso, era quella offerta dalla
narrativa neorealista italiana.
Nel corso di
questo scritto si accennerà diffusamente a come Rossana Ombres pervenne al
romanzo, una scrittura narrativa che risente profondamente di un lungo e
appassionato esercizio di poesia la cui qualità segnica e semantica fu subito
riconosciuta da critici e letterati. Anche fosse solo per questo, l’interesse
che l’opera di Rossana Ombres dovrebbe suscitare nella critica sarebbe oggi
pienamente giustificabile perché tocca dimensioni storiche ed esistenziali
della scrittura femminile, dell’emancipazione della donna e delle immagini che
le donne hanno dato e danno di sé, del loro coraggio e della loro intelligenza.
Infatti, la ricchezza, la chiarezza e, nel contempo, la complessità del
linguaggio ombresiano, gli intrecci culturali che vengono a realizzarsi nella
sua scrittura, indicano che molti sarebbero gli aspetti da rilevare e chiarire:
non solo linguistici e letterari, ma anche epistemologici, psicologici, storici
e sociali. Riaprire il discorso su Rossana Ombres e riscoprire l’importanza del
suo lavoro letterario e del suo particolare ‘sguardo’ significherebbe,
pertanto, dare un apporto significativo alla critica letteraria e, soprattutto,
attraverso queste nuove chiavi di lettura, aprire nuove prospettive di sviluppo
particolarmente importanti non solo sul piano specifico del linguaggio e della
scrittura, ma anche su quello socio-culturale, politico, filosofico e
antropologico.
Lo sguardo
ombresiano (come anche quello di molte altre scrittrici), incline per natura a
testimoniare un modo differente di abitare e leggere il mondo, invita dunque a
riflettere sulle modalità di scrittura di Rossana Ombres e sollecita anche a
chiedersi perché, nonostante la sua notevole capacità di introspezione,
acquisita anche grazie all’apporto del segno poetico nella composizione
narrativa, non trovi ancora sufficiente riscontro nella letteratura ‘alta’.
Infatti, se è vero che la padronanza del linguaggio equivale alla padronanza
del mondo che la persona costruisce per viverci dentro, gli studi su Ombres
permetterebbero di tracciare sviluppi non solo ricchi di informazioni e
suggestioni, ma, come afferma il celebre filosofo della mente Thomas Nagel, esistenzialmente
vitali, capaci cioè di elaborare un sapere legato ad una realtà ricca di
significati il cui scopo principale è quello di «collocarci nel mondo come in
una cornice comprensiva, insieme ai punti di vista personali che ci sono propri»[1].
Come quello di
molti scrittori del XIX secolo, l’uso che Ombres fa del fantastico è spesso altamente
intertestuale[2], il che dimostra il
potenziale semantico che questo genere letterario possiede. Tuttavia, violando
le stesse regole del fantastico, eludendo e, essenzialmente, ‘deludendo’ nel
lettore il senso di ‘misurata esitazione’ che, come teorizzato da Tzvetan Todorov[3], ne
sta alla base, il fantastico ombresiano, almeno fino a Serenata (1980), si attua per ‘eccesso’, col fine specifico di
riconfigurare, e chiaramente affermare, il ruolo svolto dal soggetto femminile
all’interno dell’ordine letterario e, più in generale, di quello sociale,
politico e culturale. Per Ombres, dunque, il fantastico è un utile strumento
per contestare e mettere in discussione le regole socio-culturali, oltre che
affermare quel sé femminile che l’ordine patriarcale ha sempre tentato di
reprimere, spesso con successo.
Sin dai suoi esordi,
Ombres rifiuta un tipo di narrazione ‘ridondante’, saldamente in mano a un
narratore onnisciente in grado di fornire esaustive spiegazioni psicologiche,
etiche e sociali degli eventi narrati, instradando in tal modo
l’interpretazione del lettore in una univoca e specifica direzione. Ombres
adotta invece un tipo di narrazione ‘reticente’ (che è poi tipica della
narrazione fantastica), ma così manchevole e carente tanto di puntelli
esplicativi quanto di informazioni, indispensabili per una benché minima
decodificazione, che giustifica l’eloquente qualificazione che la dt. Hipkins
assegna alla prima maniera ombresiana come di ‘eccessivamente fantastica’.
Negli ultimi
due romanzi, invece, pur mantenendo una ‘traccia’ di fantastico nel corpo delle
protagoniste, Rossana Ombres si avvicina ad una narrazione di tipo neorealista,
anche se rimane un certo grado di reticenza soprattutto per quanto riguarda la
‘traccia’ di fantastico che l’accompagna: si pensi, in questo senso, alla
‘anomalia’ della protagonista di Un dio
coperto di rose, forse un ‘gobbo’, che segna il corpo e anche la psiche della
protagonista e che però non troverà soluzione alcuna all’interno del romanzo.
Certo è che se un margine di reticenza è rintracciabile in diversa misura in
qualsiasi opera letteraria, nondimeno esistono casi in cui l’uso del silenzio
sulla narrazione si fa più categorico che altrove e i vuoti o le
indeterminatezze del testo, oltre ad essere dei dispositivi per creare
suspense, costituiscono le vere e proprie strutture portanti di tutto
l’edificio narrativo ombresiano. Questo è ciò che accade nel racconto
fantastico che Ombres mette in piedi, la cui tendenziale trasgressività
semantica può essere fatta risalire proprio all’accordo tra un contenuto oscuro
e abissale e una strategia narrativa improntata alla reticenza e alla
sottrazione d’informazione. Nelle analisi testuali delle opere ombresiane appare
evidente come, dosando in modo diverso il non-detto (si confrontino, ad
esempio, Principessa Giacinta e Un dio coperto di rose), scaturiscano
vicende il cui grado di dirompenza e di densità semantica è direttamente
proporzionale al grado di reticenza esplicativa insito nel racconto.
In effetti, per
la sua natura ibrida e il rifiuto di una visione totalizzante della realtà per
accogliere inconsueti e inquietanti ‘altri’ nello spazio domestico, il genere
fantastico può essere usato sia per sperimentare nuove soluzioni narrative sia
per esplorare alternativi paradigmi conoscitivi e gnoseologici. Il fantastico
femminile, infatti, fornisce una narrazione e una soluzione semantica che
permette all’‘alterità’ di emergere da quel che si ritiene il reale. In questo
modo, la realtà può essere rappresentata anche nella sua ‘stranezza’, sia essa
quella del ‘mostro’ o dell’isteria femminile o quella, ben più dirompente, di
una critica sociale dell’ordine patriarcale e dei valori della cultura
maschio-dominante che vi sottendono. Ciò che comunque caratterizza e
differenzia il fantastico femminile dal fantastico in generale è l’ipotesi che
le manifestazioni dell’‘alterità’ non provocano più inquietudine, come avveniva
con l’inserimento dell’elemento ‘perturbante’ (il freudiano Unheimliche), ma, piuttosto, un surplus
di pathos. Ecco, dunque, che questa modifica concettuale del genere fantastico
offre alla scrittrice un formato narrativo alternativo con cui non solo può
rappresentare l’inversione di quelle strutture di potere che in precedenza
avevano modellato la comprensione della realtà, ma anche, di conseguenza,
proporre un nuovo ordine e una diversa sistematizzazione del reale. L’uso del
fantastico da parte di Ombres denota quindi una concezione letteraria che
considera il fantastico un utile strumento non solo per formulare strategie di
resistenza verso la scrittura maschile ma, ben più in profondità, verso il
canone letterario maschio-dominante, il cui paradigma conoscitivo Ombres
cercherà costantemente di mettere in discussione.
Da questa
indagine emerge così la necessità di valorizzare un particolare tipo di
sguardo, quello di donna, con cui vengono raccontati i fatti del mondo, uno
sguardo che esclude qualsiasi segno di neutralità e che si carica della
consapevolezza, specie quando si tratta di narrare dell’esclusione delle donne
dal canone, di dover offrire una scrittura non più modellata sui bisogni della
cultura maschio-dominante e sull’inganno di una
scrittura, quella maschile, propagandata come universale. D’altronde è proprio
da qui che ha preso le mosse questo studio su Rossana Ombres, ossia quello di
rintracciare, nella pur amplissima diversificazione tematica e strutturale
della narrativa ombresiana, gli inneschi e i dispositivi della sua
‘trasgressione’ nella persuasione che a scatenarne e orientarne il
funzionamento sono meccanismi e intenti sostanzialmente simili e complementari:
la rottura del canone maschio-dominante e la creazione di uno specifico spazio
letterario femminile.
Alla ‘prima
maniera’ ombresiana, quella ‘eccessivamente fantastica’ che giunge fino a Serenata (1980), succede infatti quella
degli ultimi due romanzi, che la dt. Hipkins ha definito della ‘creazione del
sacro spazio femminile’[4]. Come
sarà in seguito rilevato in questo scritto, sia in Un dio coperto di rose (1993) che in Baiadera (1997) Ombres adotta un linguaggio piano e molto prossimo
alla narrativa di stampo neorealista. Tuttavia, pur mantenendo una ‘traccia’ di
fantastico nelle disabilità fisiche delle protagoniste, la maggior attenzione
verso il contesto storico e i luoghi geografici sta a indicare un obiettivo ben
preciso: quello, appunto, che porti alla creazione, attraverso lo sguardo
femminile, di un nuovo spazio narrativo in cui sono le donne a definirne le
forme e i significati.
Certo, a parte
poche eccezioni, la critica letteraria italiana finora non ha dedicato grande
attenzione alla letteratura femminile, forse perché essa induce a ripensare il
modello compatto della nostra letteratura mettendo in discussione i criteri di
fondo con i quali ancora si definisce e si valuta la letterarietà. Esiste,
infatti, un profondo distacco tra la critica letteraria e la proliferazione
delle molteplici pratiche letterarie femminili e questo riconoscimento potrebbe
essere un punto di partenza per una ridefinizione dei criteri
critico-metodologici e adeguare in tal modo il canone italiano a quello
europeo. Il fatto è che la produzione letteraria femminile fa vacillare una
serie di assunti - come i regimi disciplinari, i generi letterari o le
periodizzazioni - che troppo spesso vengono ancora dati per scontati e
incontrovertibili. Inoltre, l’attuale prorompere della letteratura femminile
costringe chi si occupa oggi di critica letteraria ad allargare la visione
anche verso altri tipi di ‘sguardi’, come ad esempio quello migrante[5], che
stanno costringendo il mondo intellettuale europeo a confrontarsi da tempo coi
temi della differenza e dell’alterità. Nella letteratura europea contemporanea,
infatti, è in corso una radicale trasformazione dovuta alle nuove soggettività
che stanno delineano l’immagine multiculturale dell’Europa d’oggi. Di qui
l’esigenza di produrre modelli interpretativi ed epistemologici che non siano più
basati sull’esclusione o la discriminazione, nonché la possibilità di aprire
nuovi spazi creativi e alternativi per la rappresentazione della soggettività
e, quindi, la capacità della letteratura di rappresentare le molteplicità e la
complessità della realtà contemporanea.
Non si tratta,
quindi, di istituire un nuovo settore letterario (o un ‘sub-genere’) in cui
definire e delimitare la letterarietà femminile, quanto, piuttosto, provare a stringere
delle alleanze tra esclusi che siano in grado di proporre strategie alternative
e oppositive contro le dominazioni di genere, di razza o di classe. Come
afferma la filosofa statunitense Donna Haraway, che «non c’è nulla nell’essere
femmina che costituisca un legame naturale tra le donne»[6], non
si può pretendere di costruire un’azione politica o culturale soltanto sulla
base di un’identificazione naturale nella categoria ‘donna’. Lo stesso vale
quando si analizza la storiografia letteraria, dove non si può affermare
l’esistenza di una ‘sensibilità femminile’, o di un ‘genio femminile unico’,
perché «non esiste, in letteratura, una sola tradizione femminile; non esiste
una sola espressione letteraria a cui le donne si siano limitate»[7].
Anzi, sostenere la specificità di uno stile femminile significherebbe solo
riprodurre uno di quegli stereotipi che finirebbe per ghettizzare le donne,
piuttosto che contribuire al riconoscimento della loro presenza nella
tradizione letteraria.
Ecco, dunque,
che l’analisi degli aspetti più stimolanti che la narrativa di Rossana Ombres
sollecita, non solo si rivela ricca di suggestioni e proposte per aggiornare e
adeguare il canone letterario italiano a quello europeo, ma suggerisce la
necessità di elaborare una mappa concettuale ben più ampia e aggiornata e
capace di accogliere in sé il dispiegarsi delle diverse forme di poligrafia.
Del resto, l’attività che più impegnò Rossana Ombres fu quella pubblica di
critico letterario per ‘La
Stampa’, i cui articoli, grazie anche alla capacità di introspezione
acquisita nella composizione letteraria, presentano quella originalità e
‘leggerezza’ di scrittura che rendono l’opera di Ombres un importante caso
letterario da reinterpretare e valorizzare in tutte le sue forme d’espressione.
Dedicarle uno studio esauriente «sarebbe un giusto omaggio a una poetessa e
narratrice che, alla distanza, prende sempre più spicco; e valorizzerebbe un
tipo di sperimentalismo cui non si è data tutta l’attenzione che merita»[8].
[1] T. Nagel, Mortal Questions, Cambridge University Press, Cambridge 1979; tr.
it., Questioni mortali, Il
Saggiatore, Milano 1986, p. 98.
[2] Molto
utile, per capire meglio l’opera di Ombres, sarebbe fare una ricerca sulla sua
attività di critico letterario de ‘La
Stampa’, e ciò in considerazione del carattere intertestuale
di molte sue opere: si pensi, in questo senso, a Principessa Giacinta e Serenata,
in cui le protagoniste sono rispettivamente una scrittrice fallita e un
affermato critico letterario.
[3] Cfr. T. Todorov,
Introduction à la littérature fantastique, Editions du Seuil, Paris 1970;
tr. it. La letteratura fantastica, Garzanti, Milano 1977.
[4] D.E. Hipkins, Contemporary
Italian women writers and traces of the fantastic: the creation of Literary
Space, Legenda, Oxford 2007, p. 192.
[5] Cfr.
A. Gnisci, La letteratura italiana della migrazione, Lilith, Roma 1998.
[6] D.J. Haraway, Manifesto
Cyborg. Donne, tecnologie e
biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano 1995, p. 47.
[7] E. Moers, Grandi scrittrici, grandi letterate, Edizioni Comunità, Milano 1979,
p. 104.
[8] C. Segre, Le tante radici di Rossana Ombres, in “Corriere della Sera”, 7
agosto 2009, p. 37.
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